Sull’unità delle “Valli Valdesi“ dal punto di vista linguistico

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Keywords: dialetti alpini , dialectology , Occitan , valdesi

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  1. Riferimento a tutto il contributo:
    Aline Pons (2023): Sull’unità delle “Valli Valdesi“ dal punto di vista linguistico, Versione 2 (03.11.2023, 14:08). In: Roland Bauer & Thomas Krefeld (a cura di) (2023): Lo spazio comunicativo dell’Italia e delle varietà italiane (Korpus im Text 7), Versione 90, url: http://www.kit.gwi.uni-muenchen.de/?p=109884&v=2
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1. Cosa si intende con “Valli Valdesi”

Quando, in un lavoro di linguistica, troviamo citate le “Valli Valdesi”, si fa generalmente riferimento al territorio delle valli Pellice, Chisone e Germanasca, ovvero alle valli nelle quali, ancora oggi, si trova la maggior concentrazione di persone di origine valdese (cfr. Fig. 1).
Tale concentrazione ha origine a partire dai decenni successivi all’adesione del movimento valdese alla riforma protestante (che risale al 1532): il Duca di Savoia Emanuele Filiberto, dopo aver tentato invano di sradicare il movimento valdese (e soprattutto le neonate chiese evangeliche valdesi) dall’area alpina occidentale, si è infatti risolto a delimitare un territorio, in seguito noto come “ghetto alpino”, all’interno del quale la minoranza valdese potesse continuare a vivere seguendo la propria religione.
La pace di Cavour del 1561 (e le successive integrazioni) permettevano il culto valdese in un’area decisamente più ristretta rispetto a quella in cui era presente la comunità valdese, la prima essendo sostanzialmente limitata a località della media e alta valle del Pellice, della val Germanasca e dei territori della sponda destra della bassa valle del Chisone; la particolare segmentazione della val Chisone è dovuta al fatto che questa si è trovata, in epoca moderna, ad essere contesa tra il Ducato sabaudo e il Regno di Francia: mentre la cosiddetta “Val Pragelato”, a monte di Perosa, è stata compresa nei territori delfinali dal XI secolo fino al 1713, la “Val Perosa” è stata ora francese, ora sabauda, spesso controllata dai Savoia nella sponda destra del torrente e dai re di Francia in quella sinistra (cfr. Tron 2001).
Nonostante la delimitazione ufficiale del cosiddetto “Ghetto alpino”, la prima rappresentazione cartografica delle “Valli Valdesi”, risalente al 1640, ritraeva ancora, sotto il titolo di “carta delle tre valli di Piemonte”, la valle Po, la val Pellice e la Val Chisone – alta valle compresa (cfr. Fratini 2023).
Sarà solo nei secoli successivi che il territorio ormai noto come “Valli Valdesi” verrà progressivamente a coincidere con l’area di insediamento delle comunità valdesi, in seguito a successive repressioni che hanno eradicato gli evangelici prima dalla valle Po (inizio XVII secolo) e dal resto del Marchesato di Saluzzo, poi dalla sponda sinistra della bassa valle del Chisone (fine XVII secolo) e infine dalla Val Pragelato (inizio XVIII sec).

Dal punto di vista linguistico, il concetto di “Valli Valdesi” trova riscontro, soprattutto, quando si discute di repertori linguistici: la presenza della minoranza valdese ha infatti favorito, per diverse ragioni esposte in Rivoira 2015, l’uso del francese come lingua “alta”, usato nel culto e nell’istruzione religiosa, e poi progressivamente penetrato anche negli usi familiari. In bassa val Chisone, inoltre, l’esodo della popolazione valdese residente sulla riva sinistra del torrente, ha determinato la sua sostituzione con genti provenienti per lo più dalla pianura piemontese (cfr. Bronzat 2009). Questo doppio spostamento, se da un lato ha portato alla diffusione delle varietà occitane della bassa val Chisone nelle colonie del Württemberg dove sono emigrati i valdesi, dall’altra ha trasformato il basso corso del torrente Chisone in un confine anche linguistico, che separa le comunità piemontesofone (sulla riva sinistra) dalle comunità occitanofone (sulla riva destra).

Se dunque appare pertinente riferirsi alla suddivisione (storica) del territorio tra valdesi e cattolici quando si parla delle lingue presenti nei repertori delle diverse comunità (sebbene il francese fosse storicamente presente, per ragioni storico-amministrative, anche nelle alte valli del Chisone e della Dora), è lecito chiedersi se la denominazione “Valli Valdesi” possa essere pertinente anche per quanto riguarda la delimitazione delle varietà interne dell’occitano cisalpino, che si sono presumibilmente definite, almeno nei loro tratti più profondi, non soltanto nei secoli precedenti all’adesione alla Riforma del movimento valdese, ma probabilmente prima della diffusione stessa del movimento valdese nell’area (cfr. Rivoira in stampa).

Nel presente contributo, dopo aver dato conto della posizione che i diversi studiosi hanno riservato alle varietà delle valli Pellice, Chisone e Germanasca nel quadro dei dialetti occitani cisalpini, proporrò l’analisi di una ventina di tratti linguistici, che possono essere utili per ridiscutere le parentele tra queste varietà, e tra loro e le varietà limitrofe.

2. La classificazione dell’occitano delle “Valli Valdesi”

Il primo studioso a occuparsi scientificamente delle parlate occitane cisalpine (e in particolare dell’“odierno” valdese – inteso in contrapposizione con il “valdese” dei manoscritti tardomedievali) fu Giuseppe Morosi (cfr. Morosi 1890; 1892). La descrizione geografica che egli dà del territorio di cui intende occuparsi prioritariamente (cui si riferisce, come gli abitanti stessi, con l’epiteto per antonomasia “le Valli”) corrisponde al territorio “ristretto” cui si è fatto cenno sopra: valli del Pellice e della Germanasca, con la riva destra della bassa val Chisone. Morosi individua quattro sottogruppi interni all’area (dialetto della val Germanasca, del medio Chisone, dell’Angrogna, dell’alto Pellice) e uno esterno (le varietà di Rorà e della media val Pellice, di Prarostino e di Roccapiatta); rispetto alla collocazione dell’intero gruppo valdese nell’ambito dei dialetti occitani, si limita però a notare che sarebbe necessario uno studio

"tra il valdese i dialetti delle finitime vallate italiane dell’alto Po, dell’alto Chisone e dell’alta Dora Riparia. Questo posso dire intanto, perché mi riesce accertato per indagini mie proprie: che il valdese appare abbastanza bene distinto da essi, certamente più che dal delfinese del Queyras, sicché pare non possano pretendere, come questo, a formare col valdese una sola famiglia; neppure il dialetto di quell’antico e famoso centro del valdismo cisalpino, posto fuori però dal territorio valdese vero e proprio, che fu Pragelato"  (Morosi 1890; 1892, 329).

Pur ammettendo di disporre di pochi dati per il versante italiano, Ronjat (1941) distingue le parlate cisalpine in un gruppo “piemontese” (a sud delle “Valli Valdesi”), un gruppo “valdese” (in cui fa rientrare anche Bourcet, oggi frazione di Roure), distinto tra le parlate del sud (Val Pellice) e quelle del nord (val San Martino), e un gruppo “pragelatese” (con l’alta valle di Susa), di transizione tra il valdese settentrionale e il brianzonese.
Lafont (1972) non distingue sottogruppi all’interno del gruppo cisalpino; enumerando alcune località appartenenti a quest’ultimo, cita le parlate di Fenestrelle, del Pellice, della Varaita, della Maira e “lei vaus dichas «vaudesas»” – escludendo dal novero delle Valli Valdesi, implicitamente (e non sappiamo quanto consapevolmente) la stessa val Pellice.
Hirsch (1978) distingue invece, tra le parlate cisalpine, un’area centrale (dalla val Pellice alla valle Stura, comprese) e due aree periferiche, l’una meridionale, l’altra settentrionale, che comprende l’alta valle della Dora, la val Chisone e la val Germanasca.
Anche Martel (1983), nel separare le parlate alpine tra un gruppo inaupenc (o “italico”) e uno intraupenc (o “francese”) considera le varietà dell’alta Dora e dell’alto Chisone appartenenti al secondo gruppo (alcune caratteristiche del quale si ritroverebbero anche nell’alta Stura, globalmente “italica”), le varietà del basso Chisone e della Germanasca come “di transizione”, mentre la val Pellice, insieme alle altre valli cisalpine e al Queyras, viene inserita nel gruppo inalpino.
Gli studiosi di area italiana (cfr. Telmon 1992, Telmon 1993c, Telmon/Ferrier 2007, Regis/Rivoira 2023), a margine di altre riflessioni su cui si sono maggiormente concentrati, si sono invece attestati su una ripartizione dialettale dell’area cisalpina che prevede la divisione delle parlate italiane in tre gruppi, settentrionale, centrale e meridionale. Le “Valli Valdesi” (qui intese in senso stretto), vengono fatte rientrare nel novero delle parlate settentrionali, insieme all’alta val di Susa e alla val Chisone.
Infine Sibille (2004), pur non fornendo una classificazione di tutte le parlate (cis)alpine, considera la media valle del Chisone e la val Germanasca (ma non la val Pellice) come appartenenti al “brianzonese linguistico”, insieme alla maggior parte dei territori degli ex-Escartons di Pragelato, Oulx e Briançon – seppur non ne condividano, evidentemente, la storia amministrativa.

3. Tratti linguistici

Come accade per molte classificazioni dialettali tradizionali, le diverse suddivisioni riposano sia sulla considerazione di tratti linguistici in parte diversi, sia sulla considerazione dell’unità storico-culturale dell’area – soprattutto da parte italiana.
Tento qui di discutere della distribuzione di una ventina di tratti linguistici (fonetici e morfologici), che ho ritenuto tra i più significativi, per l’area in questione, tra quelli elencati in precedenza da almeno uno degli autori fin qui menzionati.
Sebbene ai dialetti delle “Valli Valdesi” siano stati dedicati diversi lavori, e questi compongano una trama più fitta di quanto non avvenga in altre vallate cisalpine di parlata occitana, non disponiamo di descrizioni grammaticali organiche per quanto riguarda l’area di transizione con i dialetti pedemontani (studiata da Bronzat 1999-2000 e, per quanto riguarda Rorà, da Regis/Rivoira 2023 a); i dati linguistici da cui partirò sono dunque relativi soprattutto alla val Germanasca e al vallone di Pramollo (ALEPO – Perrero e Pramollo, Pons/Genre 1997), all’alta valle del Pellice (ALEPO – Villar Pellice, Rivoira 2007) e alla val d’Angrogna (Sappé 2012). Per stabilire l’area di diffusione dei singoli tratti, i dati delle “Valli Valdesi” sono stati confrontati con quelli di altre località occitane alpine, individuate nei territori circostanti soprattutto sulla base della ricchezza della documentazione: i punti presi sistematicamente in esame sono stati Bardonecchia (AIS, ALEPO, Masset 1997 e Gleise Bellet 2003), Pragelato (ALEPO – Borgata di Sestriere, Blanc et Alii 2003), Roure (Martin 2020), la Val Po (AIS – Ostana, ALEPO – Oncino, Zörner 2008), il Queyras (ALF, ALP, Mathieu 2014), l’alta Val Varaita (AIS – Maddalena, ALEPO – Bellino, Ottonelli 2012 e Bernard 1996) e l’alta Valle Stura (AIS – Pietraporzio, ALEPO – Argentera e Aisone, Rivoira/Celauro/Boschero 2022).
Nell’economia del presente studio, non è stato possibile studiare la realizzazione dei singoli tratti in tutte le località cisalpine di parlata occitana (nemmeno in tutte quelle la cui parlata è meglio documentata), sebbene talvolta si sia ritenuto di fornire qualche notizia anche su punti diversi da quelli elencati: uno studio complessivo sui sottogruppi interni all’occitano alpino resta ancora da fare.

Le valli valdesi (mappa interatttiva) (mappa interattiva).

Le valli valdesi e i punti di rilevamento degli atlanti (mappa interattiva).

3.1. Vocalismo

3.1.1. Valore distintivo della lunghezza vocalica (1)

Come evidenziato da Sibille (2004), le parlate del “brianzonese linguistico” conoscono un’opposizione fonematica tra vocali lunghe e vocali brevi, tanto in posizione tonica quanto in posizione atona. Sebbene i contesti in cui tale opposizione si verifica varino da una località all’altra, ma anche all’interno della stessa località, in dipendenza soprattutto della velocità dell’eloquio (cfr. Genre 2002 [1993]), è possibile affermare che alcune vocali si sono allungate per compensare la caduta di una consonante successiva (in special modo la /s/, ma anche la /p/ e la /r/ divenuta finale, cfr. DEFAULT). Si avranno dunque forme come /ˈmuːʧo/ < mŭsca, /ei̯kriːˈtyːro/ < scriptūra (la vocale tonica in sillaba aperta è regolarmente lunga), /ʧanˈtaː/ < cantāre. Non mancano tuttavia vocali lunghe seguite da una consonante che si è mantenuta: è il caso, ad esempio, delle vocali toniche seguite da /l/ originaria latina (divenuta) finale, /saːl/ < sále, /meːl/ < mĕl.

La lunghezza vocalica ha valore distintivo (α1), come accennato, oltre che in Val Germanasca (dove il sistema di opposizioni è più sviluppato), nelle valli di Susa e del Chisone; questo fenomeno sembra invece essere assente (β) nel Queyras e nelle valli cisalpine “centrali”; La val Pellice conosce l’allungamento della vocale finale degli infiniti in -ar, /parˈlaː/ < parláre (che distingue l’infinito dal participio passato, /parˈla/ < parláto), ma in generale i nessi consonantici sono mantenuti (/ˈmuska, ˈmusʧa/ < mŭsca, Sappé 2012, s.v.), dunque non si realizzano allungamenti di compenso (neanche laddove si ha la caduta della consonante successiva, come in /na/ < násu).

3.1.2. Chiusura di [a] < ă, ā postonica in [o, ɔ] in posizione finale (2)

Si tratta di un fenomeno molto caratterizzante, poiché coinvolge la desinenza di un’ampia serie di sostantivi e aggettivi femminili, ma che presenta molte variazioni anche a livello microareale (si veda ad esempio Rivoira/Celauro/Boschero 2022, 67 e segg), dunque poco si presta a individuare una linea di demarcazione netta tra aree diverse. Quello che semmai è più rilevante per la definizione di sottogruppi dialettali è la centralizzazione (e talvolta la caduta) di tali vocali in posizione finale.

Quest’ultimo fenomeno (α), interessa l’alta valle di Susa e la val Chisone; a Roure la caduta si realizza soltanto in corpo di frase, mentre laddove c’è una pausa (e in generale nel parlato controllato) si conserva il fonema /-o/ (Tron 2020, 19). Altrove l’uscita in /-o/ dei sostantivi e degli aggettivi femminili in -a (β) è piuttosto generalizzata; fanno eccezione la val Pellice (Rivoira 2007, 8 e segg), Crissolo in Valle Po e l’alta valle Stura, con Argentera e Sambuco che mantengono la /-a/ al femminile singolare (γ) (mentre a Pietraporzio, Ferrere, Vinadio e Aisone questa si chiude in /-o/) – oltre a una serie di altre località qui non considerate, che contribuiscono a definire una distribuzione del fenomeno “a macchia di leopardo”.

3.1.3. Diverso trattamento di /e/ atona < ĭ, ē (3)

Ronjat (1930, § 49) afferma che, sia in posizione pretonica, sia soprattutto in posizione postonica, la centralizzazione (o l’ammutimento) di /e/ è propria dei dialetti nord occitani, e che si tratta probabilmente di un fenomeno recente. Si noti per inciso che, in alcune località settentrionali, /e/ < ĭ, ē talvolta centralizza anche in posizione tonica in sillaba chiusa (come succede in piemontese, e al contrario di quanto avviene di regola in occitano - Rivoira 2019, 204).

Per quanto riguarda la centralizzazione in sillaba atona, è possibile prendere ad esempio la carta ALEPO V-II-223 “settimana” (oltre ai dizionari disponibili per l’area): la [e] pretonica risulta conservata nelle parlate della Valle Stura ([seˈmana], Argentera), della Val Varaita ([seˈmano], Bernard 1996, s.v.) e del Queyras (Mathieu 2014), mentre si centralizza a Oncino ([səˈmano]) e cade in val Pellice ([zˈmana], Villar Pellice, con un esito tipicamente piemontese); Pons e Genre (1997, s.v.) attestano la forma centralizzata anche in Val Germanasca, così come fa Martin (2020, s.v.) per Roure e l’ALEPO per Sestriere; infine a Bardonecchia, Masset (1997, s.v.) registra la forma [zmaːn], con caduta della [e] pretonica. Confrontando, laddove è possibile, i dati rilevati dall’Atlante con quelli registrati nei dizionari, si nota una certa variazione: a Bardonecchia l’ALEPO segna la presenza della vocale centrale, esclusa dal dizionario; a Perrero si nota la caduta e la successiva prostesi (o la metatesi) di /ə/ ([əzˈmano]), probabilmente dovuta a un parlato allegro, e perfino a Bellino viene notata una centralizzazione della [e].

Il fenomeno della centralizzazione di [e] sembra dunque in evoluzione, e difficilmente delimitabile sulla base di una sola parola: ai fini della presente analisi possiamo forse limitarci a osservare come il fonema /ə/ sia assente (α) dagli inventari fonematici delle varietà cuneesi, mentre viene rilevato (β) in quelli delle valli “settentrionali” (Regis/Rivoira 2023, 69 e segg), dunque fino alla Val Pellice inclusa; a questa presenza andrà aggiunta quella attestata in Valle Po da Zörner (2008, 47 e segg) per un’ampia serie di contesti.

3.1.4. Dittongamento condizionato di [ɛ] < ĕ tonica (4)

In contesto palatale, indipendentemente dall’apertura o dalla chiusura della sillaba, [ɛ] tende a dittongare nelle varietà occitane (Zufferey 2009). Se questo fenomeno si registra regolarmente nelle valli cisalpine della Provincia di Cuneo, lo stesso non si può dire per le valli del Nord, dove la mancata dittongazione “sembra ancora da attribuire a fagocitosi da parte del piemontese” (Genre 2002 [1988], 84).

Se prendiamo ad esempio la carta ALEPO V-II-190 “(luna) vecchia”, possiamo notare come, a fronte di forme dittongate (α) del tipo [ˈvieja] ad Argentera e [ˈvjejo] a Bellino < vĕtŭla, a Villar Pellice, Perrero, Sestriere e Chiomonte la [ɛ] non dittonga (β) (in alcuni casi abbiamo però [e]) – il dato non è disponibile per Oncino (ma Zörner 2008, 49 attesta [ˈvjeʎo] a Oncino e a Ostana) e per Bardonecchia (dove Masset 1997, s.v. registra [ˈvœʎːa]). Sul versante francese la dittongazione è regolarmente attestata nella carta ALP 1237 “vieille”, con l’eccezione di alcuni punti dell’Oisans e, nel Queyras, di Abriès e Aiguilles, dove troviamo forme del tipo [ˈvɛja].

3.1.5. Monottongamento dei dittonghi derivanti da < o < ŏ tonica (5)

Il dittongamento condizionato di ŏ, in presenza di un suono palatale (vocalico o consonantico) o velare (occlusiva velare + [u] o v + [u]) (Genre 2002 [1988]), è attestato in tutta l’area occitana alpina; tuttavia, in alcune località (e per alcune condizioni) il dittongo è ulteriormente evoluto, monottongando, in [œ, ø] – come avviene nella maggior parte delle varietà piemontesi (Rivoira 2019, 218).

Se prendiamo ad esempio la carta ALEPO V-II-242 “notte” < nŏcte, possiamo notare che le località di Argentera, Bellino, Oncino presentano regolarmente delle forme dittongate (α) (rispettivamente [ˈnɥøʧ], [ˈnwɛʧ], [ˈnyəʧ]) mentre Villar Pellice [ˈnøʧ], Pramollo, Perrero [ˈnøi̯t] e Bardonecchia [ˈnø] mostrano l’esito monottongato (β) in [ø] – Sestriere ha un altro lessotipo, ma a Roure (Martin 2020, s.v.) troviamo [ˈnɛu̯t] – mentre a Pragelato, per “voglia” < vŏlia, abbiamo [ˈvøʎə] (Blanc et Alii 2003). Particolarmente interessante è la lettura della carta corrispondente dell’ALP (71 “la nuit”): gli esiti dittongati ricoprono l’intero territorio (e l’intero Queyras), con l’eccezione del punto di Abriès, dove troviamo [ˈnœʧ], in continuità con quanto avviene nella confinante Val Pellice.

3.1.6. Dittongamento di /y/ < u < ū seguita da /l/ (6)

Può essere utile, infine, esaminare il trattamento di /y/ seguita da /l/, prendendo ad esempio la carta AIS 1067 “mulo”: in tutti i punti d’inchiesta occitani in Italia la vocale è regolarmente /y/ (α), con l’eccezione di Pramollo, dove questa presenta un esito dittongato (β); lo stesso si può dire per la val Germanasca, dove abbiamo [myəl], [myˈøːl] < mūlu (Pons/Genre 1997, s.v.), per Roure, dove abbiamo [kɥoɭˠ] < cūlu (Martin 2020, s.v.), per Borgata di Sestriere, dove i materiali inediti dell’ALEPO registrano [ˈmyəl] e per Bardonecchia, dove Masset (1997, s.v.) attesta la forma [ˈmiu] accanto a [myː]. Oltralpe (ALF 889 “mulet”) si registrano forme dittongate del tipo [myu̯], che discendono però dalla vocalizzazione della /l/ finale: fa eccezione, ancora una volta, il punto di Aiguilles nel Queyras, dove troviamo attestata la forma [myu̯l].

3.2. Consonantismo

3.2.1. Presenza di consonanti lunghe (7)

Nei dialetti della val Germanasca è possibile trovare delle consonanti lunghe in posizione postonica (in corpo di parola) che seguono una vocale breve (ma in tutti gli altri contesti si trovano soltanto vocali scempie: Genre 2002 [1993], 142), a fronte della generale assenza di consonanti lunghe nelle parlate nordoccitane e provenzali (Oliviéri/Sauzet 2016, 327).

Anche in questo caso, per verificare l’estensione del fenomeno può essere utile citare alcuni dati provenienti dall’ALEPO, e in particolare dalle carte V-I-38 “(si è perso) tra le rocce”; V-I-56 “guida (alpina)”; V-II-17 “(ecco delle) nuvole”; V-II-254 “cinque minuti”; V-II-265 “primavera”: a fronte di località che presentano la consonante postonica sempre lunga (α) (Bardonecchia, Sestriere, Perrero, Pramollo) e di località che non la presentano mai (β) (Oncino, Bellino, Argentera), anche in questo caso Villar Pellice si colloca in una situazione intermedia, con [ˈʀotːʃe] e [ˈpʀimːa] vs [ˈnɛbja] e [miˈnyte]; lo stesso dizionario di Angrogna registra entrambe le forme, distribuite in due sotto-aree del comune: /ˈpʀima, ˈpʀimːa/, /ˈnebja, ˈnebːja/ (con due accezioni diverse), /miˈnyta, miˈnytːa/ (Sappé 2012, ss.vv.). Il dizionario del Queyras (Mathieu 2014, ss.vv.) registra invece regolarmente la realizzazione scempia (/ˈroʧo, ˈprimo, ˈneblo, miˈnyto/), mentre l’allungamento è sempre presente nelle forme registrate nel dizionario di Villaretto (Martin 2020, s.v.).

3.2.2. Esito della palatalizzazione di /k/ e /ɡ/ davanti ad /a/ (8)

Come tutte le varietà occitane settentrionali, anche quelle cisalpine partecipano alla palatalizzazione di /k/ e /ɡ/ originarie davanti ad /a/; tuttavia, il grado di questa palatalizzazione può essere più o meno avanzato a seconda delle località.

L’esito più diffuso, nell’area che ci interessa, è quello in [ʧa] e [ʤa] (α): lo ritroviamo in quasi tutte le località della provincia di Cuneo, nel Queyras, in val Pellice e in val Germanasca. Fanno eccezione Oncino in valle Po (ma non Ostana e Crissolo, Zörner 2008, 23), e Pragelato in alta val Chisone (Blanc et Alii 2003, 15), dove abbiamo [ʦa] e [ʣa] (β), e Bardonecchia in alta Valle di Susa, dove troviamo [ʃa] e [ʒa] (γ), così come a Jovenceaux (Perron 1984), a Salbertrand (Baccon Bouvet 2003) e a Chiomonte (Sibille 2019).

3.2.3. Trattamento di /s/ + consonante all’interno di parola (9)

Già nel DEFAULT abbiamo citato la caduta di /s/ preconsonantica all’interno di parola come uno dei principali fattori che hanno determinato l’allungamento della vocale precedente: tale caduta non si verifica in tutta l’area cisalpina.

Prendendo ad esempio la carta ALEPO V-II-266 “estate”, notiamo come il nesso [st] si mantenga (α) nel Cuneese e in val Pellice (e nel Queyras: cfr. Mathieu 2014, s.v.), con forme del tipo [iˈsta], mentre la /s/ cade (β) nelle località settentrionali, provocando l’allungamento della vocale precedente, con forme del tipo [iːˈta].

3.2.4. Trattamento di /s/ + consonante all’inizio di parola (10)

Lo stesso nesso trattato in precedenza, se si trova all’inizio di parola (Ronjat 1932, § 253, 321) determina in genere lo sviluppo di una vocale prostetica, che in alcune zone porta alla vocalizzazione della /s/, o alla sua caduta: per la voce “stella” (cfr. ALEPO V-II-167 e dizionari dell’area) avremo dunque esiti del tipo [eˈstelo] ad Argentera (e nel Queyras, cfr. ALP 76, con l’eccezione di Abriès che va con l’area centrale, cfr. oltre), esiti del tipo [ei̯ˈtɛlo] a Pramollo e in val Germanasca e [eˈteʀo] a Bardonecchia (cfr. anche [iˈtiəl] a Sestriere e [eːˈtəːɭˠo] a Roure – Martin 2020, s.v.). In un’area centrale, comprendente la Val Varaita ([ˈstelo] a Bellino, cfr. Bernard 1996, s.v.), la Valle Po (dove tuttavia, secondo Zörner 2008, 28, il nesso deve essere obbligatoriamente preceduto da una vocale - nel nostro caso quella dell’articolo [na ˈstɛlo] – altrimenti anche qui verrebbe a crearsi una prostesi) e la val Pellice ([ˈstela], cfr. Sappé 2012, s.v.) non troviamo attestata la prostesi - che pure potrebbe verificarsi anche al di fuori della valle Po, nelle condizioni esposte da Zörner.

Riassumendo, abbiamo dunque quattro soluzioni diverse in questo contesto: la più comune a livello occitano è la prostesi (α) con mantenimento della /s/ (davanti a occlusiva sorda, davanti a sonora si ha /z/), diffusa nel Queyras e nelle Valli Maira, Grana e Stura; altrove la /s/ vocalizza (β) (Val Germanasca) o scompare (γ), forse in seguito all’assimilazione del dittongo (alte Valli Chisone e Susa); infine, tale prostesi non avviene (δ) (almeno non in isolamento o in presenza di una vocale che precede il nesso in fonosintassi) in Valle Varaita, in Valle Po, in Val Pellice e ad Abriès nel Queyras.

3.2.5. Trattamento dei nessi consonante + l (11)

I nessi latini composti da consonante + l (bl-, pl-, fl-, cl- e gl-) tendono a mantenersi in occitano, così come in gran parte dell’area galloromanza, con l’eccezione della galloromania cisalpina dove [l] viene palatalizzata, analogamente a quanto avviene (seppur con un grado diverso per cl- e gl-) nelle varietà piemontesi (e più in generale italoromanze) con le quali confina.

Prendendo a esempio la carta ALEPO V-II-160 “ghiaccio” avremo dunque forme palatalizzate (α) del tipo [ɡjas] nelle Valli del Cuneese (ma non ad Argentera: [ɡlas]) e in val Pellice, mentre il nesso originario è mantenuto (β) nelle valli a nord di questa e nel Queyras (cfr. ALP 49, con l’interessante eccezione di Arvieux).

3.2.6. Evoluzione del nesso ct latino (12)

I dialetti occitani centrali risolvono generalmente il nesso ct latino in [ʧ]; l’area guascone e un’area nord-orientale presentano invece esito in [it] (Ronjat 1932, § 311): la divisione tra le due aree di evoluzione interessa anche l’area cisalpina.

Per esemplificare la distribuzione degli esiti di -ct in posizione finale, possiamo osservare i risultati della carta ALEPO V-I-13 “solatìo [indiritto]” (cfr. anche DEFAULT, con gli esiti di nŏcte): le località del Cuneese e la val Pellice presentano esiti del tipo [aˈdreʧ] (α), mentre la Val Germanasca e la Val Chisone hanno esiti del tipo [aˈdrei̯t] (β); nel Queyras (ALP 127 “a l’adret”) e a Bardonecchia si ha invece la caduta della coda consonantica (γ), con esiti del tipo [aˈdre].

Per gli esiti di -ct- in posizione interna, possiamo invece ricorrere ai dati “a maglia larga” della carta AIS 942 “è troppo stretta”: anche in questo caso, rileviamo forme che risolvono il nesso in affricata (α), come [əˈstreʧa] a Pietraporzio (alta valle Stura) e Pontechianale (alta Valle Varaita); forme che lo risolvono in [-it-] (β), come [ei̯ˈtrei̯to] a Pramollo e la forma [eˈtretə] a Cesana (a Bardonecchia la caduta della vocale finale non permette di valutare l’esito all’interno di parola), che lascia presupporre una precedente fase in [-it-]; si noti che sul dizionario di Angrogna (Sappé 2012, ss. vv.) si ritrovano entrambe le soluzioni, riferite a due subaree diverse del comune: /streʧ, stret/ (al maschile), /nweʧ, nøi̯t/, mentre per /aˈdreʧ/ è segnata soltanto la soluzione in affricata.

3.3. Morfologia

3.3.1. Paradigmi dell’articolo determinativo (13)

Nell’area che ci interessa, il paradigma dell’articolo determinativo è composto da quattro forme (mentre in alcune località limitrofe si ha una sola forma per il plurale: cfr. Benedetto Mas/Pons 2022), due singolari (maschile e femminile) e due plurali (maschile e femminile). Tali forme sono tuttavia da ricondursi a diversi tipi, soprattutto per quanto riguarda il maschile: al plurale, abbiamo infatti forme che discendono dall’accusativo latino (ĭllōs), che sono la norma in occitano, soltanto nelle alte valli di Susa e del Chisone, mentre nelle altre valli cisalpine e nel Queyras si hanno forme che vengono in genere fatte discendere dal nominativo (ĭlli, ma cfr. Forner 2022), secondo il modello italico. Anche al singolare abbiamo forme diverse nelle valli più settentrionali (del tipo [əl]) rispetto al resto dell’area occitana (cisalpina), dove prevalgono forme del tipo [lu]. Per il femminile le differenze sono minori, e si riducono alla diversa resa fonetica dei continuatori di illas, per il plurale: nelle valli cuneesi e nel Queyras si registra il mantenimento della /-s/ anche davanti a consonante, che va di pari passo con la chiusura della vocale; nelle valli del Torinese invece il timbro della vocale è mantenuto, ma la /-s/ è caduta davanti a consonante, provocando l’allungamento della vocale (davanti a vocale la fricativa è invece ancora sensibile). Si noti che in Val Pellice l'allungamento si ha solo ad Angrogna, mentre altrove l'articolo femminile plurale davanti a consonante è /la/.

Dalla combinazione di queste variabili, emergono tre paradigmi diversi davanti a consonante:
(α) [əl, luː, la, laː] (Bardonecchia, Pragelato, Roure)
(β) [lu, li, la, laː] (Val Germanasca, Val Pellice)
(γ) [lu, li, la, les] (Queyras, Val Po, alta Valle Varaita, Argentera).

3.3.2. Marcatezza del plurale maschile dei sostantivi (14)

Sebbene di norma in occitano siano marcati, in val Germanasca, val Pellice e Valle Po (oltre che nelle medio-basse vallate del Cuneese e in alcune aree occitane francesi, come quella di Agen – cfr. Oliviéri/Sauzet 2016) i sostantivi maschili restano invariati al plurale; a Chianale e in alta Valle Stura, il plurale dei maschili viene marcato solo in determinati contesti (quando il nome è preceduto dall’articolo indeterminativo plurale o da numerale), aggiungendo [-s] o [-es] alla forma del singolare – negli altri casi, anche in queste località il sostantivo rimane invariato. Nel Queyras il plurale è sigmatico in ogni contesto per i sostantivi maschili (Sibille 2009, 240 e Mathieu 2014, 107). La situazione è più complessa nelle alte valli del Chisone e di Susa: a Roure possiamo discernere tra “plurali sigmatici […] e asigmatici, tra i quali possiamo distinguere i sostantivi che hanno il plurale immutato e quelli che modificano la vocale finale” (Tron 2020, 27).

Non è questa la sede per addentrarsi nella complessa descrizione della formazione del plurale per ogni classe nominale nei dialetti cisalpini più settentrionali; basti qui sottolineare che, a fronte di un’area in cui i maschili restano invariati al plurale come in piemontese (α), abbiamo località in cui il plurale è marcato con l’aggiunta di [-s] (β), come avviene in generale in occitano, e altre in cui questo può essere marcato sia in modo sigmatico sia attraverso alternanze vocaliche (γ): a Pragelato, per esempio, abbiamo /ˈfrairə, ˈfrairi/ “fratello, fratelli”, /yˈzɛl, yˈzau/ “uccello, uccelli”, /ʣurn, ʣurs/ “giorno, giorni”, /myr, myrs/ “muro, muri” (Blanc et Alii 2003, 20).

3.3.3. Evoluzione della desinenza [-as] del femminile plurale (15)

Così come evidenziato per gli articoli determinativi, anche per i sostantivi femminili le desinenze del singolare e del plurale sono uniformi dal punto di vista etimologico in tutta l'area; se per quanto riguarda il singolare della classe dei nomi in [-a] valgono le considerazioni fatte a proposito del trattamento di [-a] in finale di parola (cfr. DEFAULT), per il plurale ci troviamo di fronte a forme invariabili, oppure (per la classe dei nomi in [-a]) a diverse evoluzioni fonetiche della desinenza -as dell’accusativo plurale.

Limitandoci alla classe dei nomi in -a/-as, in alta valle Stura si ha l’aggiunta di [-s] al sostantivo singolare senza modifica del timbro vocalico (/ˈvaʧa, ˈvaʧas/ ad Argentera, cfr. Rivoira/Celauro/Boschero 2022, 61); a Chianale la desinenza del femminile plurale è invece [-es] (/ˈfremo, ˈfremes/, Ottonelli 2012, 19), così come nel Queyras; in Valle Po, questa classe di sostantivi presenta il plurale in [-e], così come nell’alta Valle del Pellice (Bobbio e Villar Pellice). Ad Angrogna, in Val Germanasca, a Roure, a Pragelato e a Bardonecchia, il plurale di questi sostantivi esce invece in [-a] (che si distingue dal singolare in [-o] o in [-ə], ma non ad Angrogna, dove /la ˈfea, laː ˈfea/ “la pecora, le pecore” sono distinte soltanto dall’articolo).

Anche in questo caso, possiamo distinguere tra le parlate delle alte valli cuneesi e del Queyras, che mantengono il plurale sigmatico (α), e quelle comprese tra la val Po e l’alta valle di Susa, dove il plurale è marcato per mezzo di un’alternanza vocalica (β) (che succede alla fase sigmatica: prova ne è la conservazione al plurale della [-a] atona finale in località in cui questa è evoluta in [-o] o [-ə]).

3.3.4. Pronomi dimostrativi neutri (16)

Il sistema dei pronomi dimostrativi nell’occitano cisalpino, così come nell’occitano generale (Oliviéri/Sauzet 2016, 332), si basa su due forme: la prima indica un referente sito nell’area del parlante (“prossimale”), la seconda indica un referente sito al di fuori di questa (“distale”), spesso precisati dalla giustapposizione di avverbi deittici (per cui cfr. Pons 2019). Come rilevato da Telmon (1993c, 980-981), le forme di questi avverbi possono variare sia dal punto di vista etimologico (forme derivate da eccum + istum in area occitana e forme derivate dal solo istum in area francoprovenzale) sia dal punto di vista fonetico (con il mantenimento del nesso [st] < istum – nelle valli del Cuneese e in val Pellice – o con la caduta di [s], che provoca l’allungamento della vocale precedente - cfr DEFAULT). Più notevole per la strutturazione areale del territorio che ci interessa può essere la presenza di una seconda serie di pronomi dimostrativi, definiti dalle grammatiche consultate come “neutri”, che Martel (1983, 20) attribuisce all’influsso francoprovenzale.

A Bardonecchia è registrata la forma neutra /iˈkɑŋ/ “questa/quella cosa” (Gleise Bellet 2003, 21), a Pragelato le forme /iˈsoŋ/ “questa cosa” e /iˈkeŋ/ “quella cosa” (Blanc et Alii 2003, 29), a Roure /keːŋ, so, soːŋ/ “ciò” (Martin 2020, s.v.), in Val Germanasca le forme /eiˈsoŋ, eiˈkeŋ/ (Pons/Genre 1997, XLIII), in val Pellice le forme /so, iˈso, eiˈsoŋ/ “questa cosa” e /akoˈki/ “quella cosa, cìò”. In Valle Po Zörner (2008, 91) registra invece la forma neutra /aˈko/, che necessita dell’aggiunta di un avverbio per assumere un significato prossimale o distale, accanto a una forma dal valore prossimale /iˈθo/; /aˈko/ è registrato anche a Chianale, con valore sia distale sia prossimale, dove può alternare con /iˈso/, “per sottolineare con forza la vicinanza al parlante” (Ottonelli 2012, 35); così in alta valle Stura, dove abbiamo le forme /aˈko/ per “ciò” e /iˈʃo, iˈso, eiˈso/ per “questa cosa” (oltre a una forma /iˈo/ “quella cosa”).

Come sarà evidente al lettore, in questo campo dati troppo frammentari rischiano di pregiudicare la leggibilità del sistema; sembrano tuttavia emergere due configurazioni distinte per quanto riguarda i dimostrativi neutri:
(α) la presenza della forma tipica dell’occitano, /aˈko/, con un generico significato deittico, che non prevede distinzione tra distale e prossimale (se non affidandola alla giustapposizione di avverbi deitiici), oltre eventualmente a uno o più pronomi con un significato più specifico; tale configurazione sembra diffusa soltanto nelle vallate del Cuneese e nel Queyras (oltre che in val Pellice);
(β) l’assenza della forma generica /aˈko/, a fronte della presenza di una coppia di pronomi che sembrano realizzare l’opposizione tra distale e prossimale anche nelle forme neutre (/eiˈson, eiˈken/), nelle Valli della Germanasca, del Chisone e della Dora.

3.3.5. La VI persona dei possessivi (17)

Il paradigma dei possessivi delle varietà settentrionali e delle alte valli centrali segue lo stesso modello (cfr. Duberti/Ravera/Rivoira in stampa): per le prime tre persone si hanno due serie, l’una pronominale, tonica (del tipo /ˈmiu, ˈtiu, ˈsiu – ˈmio, ˈtio, ˈsio/) e l’altra aggettivale, atona (del tipo /muŋ, tuŋ, suŋ – ma, ta, sa/); la prima è generalmente preceduta dall’articolo, mentre la seconda non lo prevede mai. Partendo da un contesto in cui la variazione è limitata a fatti fonetici (ad esempio il plurale degli aggettivi femminili, non diversamente da quanto segnalato per i sostantivi – cfr. DEFAULT – sarà [maː, taː, saː] a Roure, [mei̯, tei̯, sei̯] a Oncino e [mes, tes, ses] a Chianale), è tuttavia possibile individuare un elemento di variazione nella VI persona del paradigma dei possessivi: in alcune località vi è una forma dedicata (del tipo /lur/) per la terza persona del plurale (che può essere o meno marcata per genere e per numero), altrove si fa ricorso alla stessa forma della terza persona del singolare.

La distribuzione di questo tratto è piuttosto peculiare: hanno una forma dedicata alla VI persona (α) Bardonecchia, Pragelato, la Val Germanasca, il Queyras e Argentera, mentre ricorrono alle forme della terza (β) Roure, la Val Pellice, la Val Po e Chianale.

3.3.6. Paradigma dei pronomi personali atoni (18)

Come evidenziato da Sibille (2012, 73), alcune varietà cisalpine presentano una doppia marcatura per individuare la persona del verbo: a sinistra un pronome clitico personale, a destra una desinenza (che non sempre, da sola, basta per determinare la persona del verbo: cfr. oltre, DEFAULT). Alcune di queste varietà si possono definire “a soggetto obbligatorio”, come il francese: Genre (1997, XLV) sottolinea infatti come, in Val Germanasca, “le forme verbali di modo finito (salvo l’imperativo) sono sempre accompagnate dal soggetto che, nelle frasi coordinate o subordinate, è rappresentato dal pronome personale soggetto atono”.

La presenza e l’uso di questi pronomi variano molto da una località all’altra (cfr. anche Regis 2012, 115-118): in Valle Stura e nel Queyras la persona del verbo è determinata esclusivamente dalla desinenza (α); Chianale e la Valle Po hanno un paradigma parziale (β) di pronomi soggetto atoni, che sostanzialmente è ridotto nell’uso (cfr. Regis 2012, 117) alla terza e alla sesta persona - spesso con distinzione di genere; la Val Germanasca e Roure presentano un paradigma quasi completo (manca soltanto il pronome di prima persona) (γ), mentre a Bobbio Pellice, Pragelato e a Bardonecchia il paradigma è completo (δ).

  Bard Prag Roure VGer VPel Queyras VPo Chianale AStura
I a a - - a - (a) a -
II ty ty ty - - ty -
III u | i aː | i aː | iː aː | iː a | i - al | i aj | i -
IV nu nuː nu - - - -
V u vu - - - -
VI i iː | laː, i iː | laː iː | aː i | la - i i | es -

3.3.7. Mantenimento della /-r/ dell’infinito (19)

Quentin Garnier (2020) individua nella chiusura (in [-e]) di [-a] < -āre all’infinito dei verbi della prima coniugazione latina uno dei tratti che esclude una varietà dal novero dei dialetti vivaro-alpini: i dialetti occitani conservano infatti la [-a] in questa posizione, al contrario di quanto accade nei dialetti piemontesi limitrofi. In area alpina la conservazione è talvolta ancora più marcata: in alta valle Stura si conserva infatti anche la consonante finale (/parˈlar/, cfr. Rivoira/Celauro/Boschero 2022, 187), così come a Chianale. Il Queyras sembra alternare casi in cui la /-r/ è conservata (/ʧanˈtar/, Mathieu 2014, s.v. e ALF 233, Aguilles) ad altri in cui è caduta (cfr ALP 132 “monter”: [mũˈta], salvo Saint-Véran [mũˈtar]). In Valle Po, gli infiniti terminano in /-a/ tonica così come nelle valli più a nord; tuttavia, dalla val Pellice a Bardonecchia, la caduta della /-r/ ha provocato l’allungamento della vocale finale, portando a forme del tipo /parˈlaː/ (/parˈlɔː/ a Roure e a Pragelato, dove non si ha mai /aː/ in posizione tonica, cfr. Tron 2020, 18).

Anche in questo caso, abbiamo dunque tre soluzioni diverse: la conservazione della consonante (α) nelle valli del Cuneese e in parte del Queyras, la sua caduta (β) in valle Po (e in bassa val Varaita, cfr. Rabo 1982), e l’allungamento della vocale finale (γ) (in seguito alla caduta di /-r/) nelle valli settentrionali.

3.3.8. IV persona dell’indicativo (20)

Non potendo qui confrontare l’intero paradigma di flessione verbale delle diverse località, ci limiteremo a trattare di un fatto che è stato segnalato per la definizione di un “sottoinsieme valdese” (Telmon 1993c, 980): pur mantenendo la desinenza in /-eŋ/, alla prima persona plurale del presente indicativo si verifica qui l’arretramento dell’accento (α) (ex. /ˈminʤeŋ/ vs. /minˈʤeŋ/ “mangiamo”), che non permette di distinguere queste forme verbali dalle corrispondenti di VI persona (se non attraverso il ricorso ai pronomi clitici, cfr. DEFAULT). Se in alta valle Stura avremo dunque al presente indicativo IV /parˈleŋ/, VI /ˈparluŋ/ (così come a Chianale e nel Queyras), in val Germanasca abbiamo IV, VI /ˈparləŋ/ (sia all’indicativo sia al congiuntivo). Lo stesso succede in val Pellice, dove “la desinenza -ën, propria della prima e terza persona plurale di tutti i tempi verbali non è mai tonica” (Rivoira 2007, 54), ma non altrove, dove la desinenza è accentata alla IV persona (β): IV /parˈleŋ/ vs VI /ˈparləŋ/ in valle Po, IV /parˈleŋ/ vs VI /ˈparloŋ/ a Roure, IV /parˈleːŋ/ vs VI /ˈparlaŋ/ a Pragelato, IV /ʧanˈteŋ/ vs /ˈʧantaŋ/ a Bardonecchia.

3.4. Conclusioni

Nell’introdurre i tratti che sarebbero stati esaminati, ho premesso che si trattava di una selezione operata a partire dai fenomeni già analizzati in precedenza dagli studiosi che si sono occupati di definire queste varietà; una volta conclusa la trattazione, ai lettori sarà evidente come alcuni di questi tratti siano strettamente connessi, al punto da poter essere presentati come diversi aspetti di uno stesso pattern linguistico, e come siano stati considerati fenomeni molto impattanti sui diversi sistemi linguistici, accanto ad altri più superficiali – e tuttavia significativi.

Il valore distintivo della lunghezza vocalica (1) è infatti intrinsecamente legato a quello della lunghezza consonantica (7), ed entrambi gli aspetti discendono in parte dal trattamento dei nessi /s/ + consonante (soprattutto all’interno di parola (9), ma anche all’inizio di parola (10)). Per spiegare globalmente questi fenomeni sarà opportuno rivolgere l’attenzione alla struttura sillabica delle diverse parlate, come fanno Sibille (2004) e Garnier (2020): se invece di concentrarci sull’evoluzione dei nessi /s/ + consonante rivolgiamo l’attenzione alla sillaba che contiene /s/ in posizione di coda, notiamo come l’allungamento dalla vocale che la precede vada a colmare il vuoto determinato dalla caduta della /s/; possiamo interpretare nel solco dell’isocronia sillabica anche la regolarità individuata da Sibille (2004, 128), per cui “lorsque la voyelle tonique est brève, une consonne post-tonique intervocalique se présente sous une forme allongée qui se traduit le plus souvent par une gémination”, mentre una vocale tonica lunga non può essere seguita che da una consonante semplice (Genre 2002 [1993]).

L’insieme di questi fenomeni definisce un importante criterio per distinguere tra diverse microaree dialettali, così come le diverse modalità di formazione del plurale maschile (14) e le forme delle desinenze del plurale femminile (15) – le quali peraltro correlano con i fenomeni quantitativi sopradescritti. Hanno un rilievo minore, pur rivestendo un certo interesse per la loro distribuzione, il tratto 16 (il paradigma dei dimostrativi neutri) e i tratti 17 (le forme della VI persona dei possessivi) e 20 (le forme della IV persona dell’indicativo), che interessano singole forme.

Fatte le dovute precisazioni, è tuttavia possibile, sulla base dei tratti esaminati, tentare di verificare l’appartenenza delle “Valli Valdesi” al gruppo delle varietà settentrionali, in particolare per quanto riguarda la val Pellice.

Per farlo, ho riassunto nella tabella seguente le diverse varianti rispetto a ciascuno dei fenomeni trattati in precedenza; nelle ultime due righe ho dato un valore sintetico alle concordanze delle varietà delle Valli Valdesi con le altre, contando 1 per i tratti che danno uno stesso esito, 0 per tratti con realizzazioni diverse e 0,5 per i casi intermedi.

  Bard Prag Roure VGer VPel Queyras VPo AVaraita AStura

vocalismo

(1) α α α α α/β β β β β
(2) α α α/β β γ β β/γ β γ/β
(3) β β β β β α β α α
(4) β β β β β α/β α α α
(5) β β α β β α/β α α α
(6) β β β β α α/β α α α

consonantismo

(7) α α α α α/β β β β β
(8) γ β α α α α α/β α α
(9) β β β β α α α α α
(10) γ γ γ β δ δ δ δ α
(11) β β β β α β/α α α β
(12) γ β β β α/β γ α α α

morfologia

(13) α α α β β γ γ γ γ
(14) γ γ γ α α β α a/β α/β
(15) β β β β β α β α α
(16) β β β β α α α α α
(17) α α β α β α β β α
(18) δ δ γ γ δ α β β α
(19) γ γ γ γ γ α β α α
(20) β β β α α β β β β
VPel 7 7,5 8,5 10,5   7 11,5 9 7
VGer 12 13 14,5   10,5 5 4,5 2,5 4
  Bard Prag Roure VGer VPel Queyras VPo AVaraita AStura

Si noterà che la val Germanasca presenta valori di concordanza decisamente maggiori con le varietà settentrionali (fino a 14,5/20 con Roure) a fronte di una distanza conclamata dalle varietà centrali (soltanto 2,5/20 con l’Alta Valle Varaita – un risultato che non deve stupire, dal momento che i tratti sono stati scelti espressamente tra quelli che permettono di dividere l’area alpina in sottovarietà).

La val Pellice, al contrario, si attesta in una posizione intermedia, presentando valori di concordanza molto vicini (33,5 vs 34,5) con le località più a nord e con quelle più a sud. Con le varietà settentrionali condivide infatti il trattamento delle vocali medie (3, 4, 5), la modalità di formazione del plurale femminile (15), il paradigma dei pronomi clitici (18) e la caduta della /-r/ dell’infinito (19); con le varietà centrali condivide il mancato dittongamento di /y/ (6), il mantenimento dei nessi /s/ + consonante (9, 10) e, sostanzialmente, l’assenza di vocali (1), e in parte anche di consonanti (7), lunghe, il trattamento dei nessi consonante + /l/ (11), oltre ad avere il pronome dimostrativo neutro /aˈko/ (16); con la sola val Germanasca condivide invece il paradigma degli articoli determinativi e la forma della IV persona dell’indicativo. Per i tratti rimanenti la val Pellice o presenta entrambe le soluzioni (come nel caso del trattamento dei nessi -ct-, 12), oppure la soluzione attestata si ritrova tanto in località settentrionali quanto in località centrali, talvolta in modo episodico; questo vale per l’evoluzione di -a finale tonica (2), per il grado di palatalizzazione di ca- e ga- (8), per la non marcatezza del plurale maschile (14) e per la forma della VI persona dei possessivi (17).

Pur trovandoci dinnanzi a un continuum linguistico, nel quale le concordanze tra una varietà e l’altra si rafforzano laddove le maglie d’indagine sono più strette, e si indeboliscono con l’aumentare della distanza (intesa qui non tanto in termini chilometrici quanto in relazione alle vie di comunicazione), sembra possibile identificare, come già ha fatto Sibille 2012 (seguendo in parte Martel 1983 e gli altri studiosi) un gruppo di varietà settentrionali piuttosto coeso (e che si differenzia sensibilmente dalle parlate limitrofe), di cui fanno parte a pieno diritto la val Germanasca e la Val Chisone, ma rispetto al quale la val Pellice può essere considerata al più come una varietà di transizione verso le parlate centrali.

Possiamo dunque concludere affermando che il concetto di “Valli Valdesi” è piuttosto insidioso se usato per indicare una realtà linguistica: non è infatti storicamente corretto affermare che appartengono al “valdese” soltanto le varietà delle valli Germanasca e Chisone, ma è altrettanto insidioso, in ossequio all’unità storica del territorio, inserire tout court le parlate delle tre valli del Pellice, del Chisone e della Germanasca nel novero delle varietà settentrionali di occitano cisalpino.

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Le lettere greche, così come i numeri in coda al titolo dei paragrafi, servono come rimando alla tabella presentata nelle conclusioni.

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