Ben conoscendo la passione del Festeggiato per la salamandra, abbiamo ritenuto che potesse risultargli non del tutto sgradita una lettura della voce che l'Atlante Linguistico ed Etnografico del Piemonte Occidentale le ha dedicato (ALEPO III.I.44). Ci rendiamo conto che il nostro contributo non aggiungerà nulla – o, nella migliore delle ipotesi, pochissimo – a quanto già si conosce sulle denominazioni e sulle abitudini della salamandra (e sulle credenze nate intorno a essa), specialmente dopo lo studio attentissimo svolto da Annalisa Nesi 1999; l'area investigata dall'ALEPO costituisce infatti una porzione assai ridotta del dominio coperto dalla carta Salamandre dell'Atlas Linguistique Roman (ALiR), di cui il lavoro di Nesi fornisce un minuzioso commento1, ed è molto verosimile che la prima sia semplicemente contenuta nel secondo, senza l'apporto di novità di rilievo. Troviamo tuttavia una giustificazione alla nostra analisi in due ordini di considerazioni. Da un lato, crediamo che il compito del geolinguista non debba essere soltanto quello di disporre dati sulla carta (e di farsi editore, fra mille difficoltà, di un atlante), ma anche e soprattutto quello di fornire una lettura delle carte prodotte: è qui che sta il succo della geografia linguistica, e forse non si pratica la geolinguistica in senso proprio – Gilliéron docet – se non nel corpo a corpo tra lo studioso e le parole dialettali che affollano la mappa. Dall'altro lato, ci pare interessante mettere alla prova l'effettiva utilità di un atlante di seconda generazione, verificando cioè se la maglia più stretta della rete dei punti di un'impresa subregionale come l'ALEPO aggiunga davvero qualche cosa alla bigger picture fornita da un'opera sovranazionale come l'ALiR2.
Nell'illusione dunque di sentirci dei geolinguisti di scuola squisitamente gilliéroniana (considerazione 1.) nonché degli sperimentatori (considerazione 2.), procediamo alla presentazione dei materiali della voce salamandra pezzata dell'ALEPO; voce – anticipiamo – molto ricca di risposte e informazioni di corredo, avendo avuto riscontri in 41 delle 42 località investigate (manca la risposta di Sestriere, dove l'informatore dichiara che la specie non è presente).
1. Denominazioni
I materiali dell'ALEPO restituiscono otto tipi lessicali3 (§ 1.1.), che raggrupperemo intorno a un nugolo di motivazioni (§ 1.2.). L'identificazione di un tipo lessicale poggia essenzialmente su criteri etimologici: vengono cioè radunati sotto un unico esponente forme che si ritiene abbiano la medesima origine. All'interno di un tipo lessicale è talvolta necessario individuare uno o più sottotipi: essi sono accomunati dallo stesso etimo, ma rivelano, reciprocamente e rispetto al tipo principale, una certa distanza formale.
1.1. Tipi lessicali
Il tipo maggioritario è costituito da 1) piovana4, il quale affiora, pur con numerose varianti, in diciotto risposte. Le denominazioni che formalmente più si avvicinano al tipo indicato sono distribuite fra l'area galloitalica piemontese (Campiglia Cervo, Moncalieri, Valdellatorre) e l'area galloromanza francoprovenzale (Ingria, Ribordone, Chialamberto, Balme, Lemie, Giaglione, Mattie, Chianocco, Susa, Condove, Coazze)5. A Carema piovana è modificante di rana. La denominazione ha evidentemente a che fare con la credenza che la salamandra funga da 'indicatore meteorologico' e porti la pioggia (Nesi 1999, 40; Carema, Chiomonte, Piasco) o che essa si rende visibile soltanto quando piove (Chialamberto); quest'ultima convinzione si riallaccia peraltro a quanto riporta Plinio (Nat. Hist., X, 67) sulla specie: "numquam nisi magnis imbribus proveniens et serenitate desinens".
L'etimologia rimanda a forme derivate di PLUVIA; è ragionevole pensare, seguendo Nesi 1999, 40, a una forma sostantivata PLUVIANA, a cui solo successivamente è associato un nome chiarificatore (come rana, nei nostri materiali, o lucertola in ALiR ITA 401).
I sottotipi 1a) bibiana (Traversella, Rocca Canavese) e 1b) parianna (Novalesa) sono da considerarsi varianti del tipo 1). Mentre la modificazione formale che risulta dal confronto tra piovana e 1b) risulta di ardua decifrazione, 1a) manifesta un chiaro legame con l'agionimo Bibiana, associato a un noto proverbio meteorologico: "Se piove per Santa Bibiana [2 dicembre], piove per quaranta dì e una settimana" (Boggione/Massobrio 2004, 36, 52).
Il secondo tipo per numero di occorrenze (nove risposte) è 2) labrena, che rivela una diffusione prevalente in area galloromanza occitana (Bardonecchia, Sampeyre, Canosio, Cartignano, Monterosso Grana, Entracque); di esso non mancano tuttavia emersioni in territorio galloitalico piemontese, nelle località di Boves, Frabosa Soprana e Pamparato6. Stando a Nesi 1999, 43-44, labrena sarebbe un'alterazione del grecismo latino SALAMANDRA > *(sa)labranda, con la seconda parte raccostata al germanico brun, a causa del colore scuro della pelle della specie. Il sottotipo 2a) elebörgnu, da interpretarsi come rilettura paretimologica di labrena, rende isolabile l'elemento börgnu 'cieco' (cfr. it. sett. bornio, piem. borgnu, occ. borni, fr. borgne7), con riferimento alla presunta cecità della salamandra; il termine prov. blando, citato in Mistral 1979 [1878], s.v., è del resto avvicinato da Nesi 1999, 44n alla base germanica blind 'cieco'.
Prudenzialmente considereremo galaverna quale tipo a sé stante (3)), anche se, come avremo modo di osservare, ci sono buone ragioni per stabilire un rapporto di dipendenza di 3) da 2) labrena. Galaverna gode di qualche riscontro in area galloromanza occitana (Pramollo, Perrero, Villar Pellice) e galloitalica piemontese (Piasco, Bibiana); un'unica occorrenza nei materiali dell'ALiR, ascrivibile all'area occitanofona piemontese (IT 403). Il termine, il cui etimo rimane incerto e discusso (cfr. DELI, s.v.), indica comunemente la brina, fenomeno atmosferico che, nocivo in particolare per le piante, "si manifesta con chiazze ghiacciate che possono anche ricordare il manto dell'animale" (Nesi 1999, 44). Si tratta, in ogni caso, di una denominazione "meteorologica" poco conciliabile con quella veicolata dal tipo piovana, la brina manifestandosi con temperature rigide e cielo sereno; non è da escludere che, più della motivazione meteorologica, conti in questo caso l'insieme di credenze secondo cui la salamandra sarebbe a tal punto fredda da sopravvivere al fuoco ed estinguerne la fiamma. Si vedano, a questo proposito, la caratterizzazione che già ne offre Plinio (Nat. Hist., X, 67), "huic tantus rigor, ut ignem tactu restinguat non alio modo quam glacies", e le testimonianze raccolte in Rolland 1967 [1877-1915], III, 80). È del tutto plausibile una connessione formale con il tipo labrena, sul quale si può ipotizzare l'intervento di una paretimologia indotta dalla relazione, popolarmente diffusa, tra la specie e la meteorologia: da labrena alla forma metatetica laberna all'esito finale galaberna / galaverna.
Allo stesso filone proponiamo di ricondurre il tipo 4) bërnà elicitato a Chiusa Pesio, località ascrivibile linguisticamente al dominio galloitalico piemontese. La forma, che è da confrontarsi con la risposta bërna raccolta dall'ALI a Vernante (P. 87; quesito 4716), manifesta una progressione dell'accento certamente anomala per l'area, avendo tale fenomeno una diffusione soltanto francoprovenzale e canavesana; la sua ossitonia andrà perciò giustificata con altri mezzi, e anche in questo caso potrebbe aver giocato un ruolo la meteorologia8, mediata dalle credenze già menzionate in relazione al tipo 3) galaverna. Ipotizziamo infatti che, a partire da una base labrena, attestata dall'ALEPO nei punti limitrofi di Boves e Pamparato, si siano prodotti la discrezione dell'articolo (la brena), una metatesi (la berna) e l'avvicinamento successivo al participio passato brinà 'brinato'. Da notare, qualora si reputi accettabile il quadro appena delineato, la perfetta coincidenza semantica fra i tipi 3) e 4) e la derivazione di entrambi da un tema comune (labrena); a rigore, i tipi 3) e 4) andrebbero rimodulati alla stregua di 2b) e 2c), in quanto altre realizzazioni del tipo 2).
Il tipo 5) cansenestr ha diffusione limitata alle due località appartenenti al dominio galloitalico ligure, ovvero Tenda e Briga Alta9. La prima parte della denominazione rivela un accostamento a "realtà zoologiche familiari, dunque ad animali domestici" (Nesi 1999, 49), che si riscontra nelle varie forme che coinvolgono continuatori delle basi CANE, nel Piemonte orientale (ALiR ITA 29: can d'aqua 'cane d'acqua'), o CATELLU, in area còrsa centro-meridionale (cfr. Nesi 2002, 495), compresa la colonia ligure di Bonifacio (ALiR FRA 508); tale accostamento non è ovviamente da ricercarsi in elementi di somiglianza fisica, bensì, come osserva di nuovo Nesi 1999, 49, "nel bisogno di ricondurre l'ignoto, dunque l'incerto, fonte di disagio, al noto, rassicurante e demistificante del negativo". È molto probabile che la seconda parte (senestr), pur manifestando come punto d'avvio la base SILVESTRE (che affiora nelle denominazioni liguri e basso-piemontesi silvestru e zlestr: cfr. Nesi 1999, 40 e n; ALiR ITA 44, 45, 51), abbia poi deviato verso la paretimologia, producendo un curioso ossimoro: un animale domestico che è, tuttavia, sinistro (VPL, v. senestru). Ci conforta in questa lettura Bracchi 2009, 152n, che vede nel termine senèsc’tru 'salamandra'10 (parco di Marcarolo, estremità meridionale della provincia di Alessandria, al confine con la Liguria), una "ricercata collusione col versante ‘sinistro’ [o con ciò che è sinistro?]", ma pure, come già nell'etimo di partenza SILVESTRE, una "qualifica avvolta […] in aloni di ‘selvaticità’, e di ‘alterità’, strapiombanti verso il disumano e il demoniaco" (integrazione tra parentesi quadre nostra). Disumano e demoniaco riaffiorano nel legame tra la salamandra e il fuoco a cui accennavamo poc’anzi (cfr. Nesi 1999, 53); e il diavolo può assumere le sembianze di numerose bestie, fra cui proprio quella della salamandra (Riegler 1981, 317-318).
Una sola attestazione interessa il tipo 6) püpocrave (lett. 'succhiacapre'), relativa alla località occitanofona di Oncino; essa rimanda alla credenza che la salamandra succhi il latte di vacche e capre dormienti, "comportamento ampiamente condiviso con i serpenti" (Nesi 1999, 54). Tale convinzione traspare in denominazioni elicitate in varie zone della Romània: dalla Francia settentrionale (ALiR FR 96) alla Cantabria (ALiR ESP 11), dall'Auvergne alla Svizzera romanda (Rolland 1967 [1877-1915], III, 79); in Liguria la salamandra è anche detta tettacrava (Ruaro 2003, 37). Il comportamento di succhiare nottetempo il latte al bestiame è poi attribuito a animali fra loro molto diversi come, ricorda Beccaria 1995, 183-184, il caprimulgo o succiacapre (zoonimi di valore evidentemente antonomastico), l'allocco, la farfalla, il pipistrello, il grillotalpa, il ramarro. Tant'è vero che “si pensa che i folletti siano usi commettere queste ruberie in sembianze zoomorfe” (Ruaro 2003, 37).
I tipi 7) lazerd e 8) ajajol manifestano un'attestazione ciascuno in area occitana (ad Argentera e rispettivamente a Limone Piemonte); essi saranno da considerarsi genericismi – nomi attribuiti collettivamente ai rettili o a specie, come la salamandra, assimilate dai laici alle lucertole (Nesi 1999, 36; cfr. § 3.) – o frutto di confusione con specie della famiglia Lacertidae. Mentre lazerd è senza dubbio un continuatore di LACERTA, per ajöl (di cui ajajol è variante) il REP (v. lajeul) suggerisce una base *LACERTULU, giudicando inaccettabile l'ipotesi di una derivazione dall'espressione ILLUM (ORBUM) AB OCULIS. Dai dati dell'ALiR si ricava che lazerd, al maschile o al femminile, è usato per indicare la salamandra in Italia (tanto al nord quando al sud), in Francia (in area sia oitanica sia occitanica) e in Svizzera (Ticino) (cfr. Nesi 1999, 36-377), talvolta con l'aggiunta dello specificatore "dellacqua" (ALiR FRA 142, 145, 268) o "del fuoco" (ALiR FRA 144). Ajöl e la variante, con concrezione dell'articolo, lajöl sono appellativi fra i più diffusi in Piemonte per il ramarro (Lacerta viridis; cfr. ALEPO III.I.325), e non sembrano essere normalmente impiegati in riferimento alla salamandra; occorre però osservare che denominazioni comuni per il ramarro e la salamandra si registrano nella vicina Liguria, con forme continuatrici di SILVESTRE / SILVESTRU (cfr. VPL, v. sevèstru).
1.2. Motivazioni
Le motivazioni alla base dei nomi della salamandra sono abbastanza facilmente ricavabili, benché alcuni tipi vadano soggetti a più di un'interpretazione; del resto, se è vero che "nella ricerca etimologica si può raggiungere l'etimo, senza raggiungere la motivazione" (Alinei 1996, 11), è altrettanto vero che l'etimo profondo e l'etimo superficiale (o sincronico) di molti dei tipi individuati in § 1.1. portano a letture motivazionali molto differenti. Se considerassimo l'etimo profondo, cioè l'origine di una certa parola al netto di azioni paretimologiche successive, avremmo una motivazione legata:
- alla meteorologia per il tipo 1) piovana e per i sottotipi 1a) bibiana e 1b) parianna;
- all'habitat, ovvero alla predilezione nei confronti di luoghi freschi e umidi, per il tipo 5) cansenestr (senestr < SILVESTRE);
- all'abitudine di consumare il latte degli armenti per il tipo 6) püpocrave.
Risulterebbero esclusi da questo ragionamento 2) labrena e 2a) elebörgnu, così come 3) galaverna e 4) bërnà: abbiano infatti ragione di credere che siano tutti quanti riconducibili a SALAMANDRA, termine di origine incerta dietro il quale non è possibile scorgere una motivazione. Un'etichetta, insomma, non trasparente, al pari di cane o gatto: l'etimo è chiaro, la motivazione oscura.
Poiché le denominazioni della salamandra sono spesso colpite dall'etimologia popolare, occorrerà tenere conto anche, e forse soprattutto, dell’etimologia sincronica dei vari lessotipi: cansenestr, in quest'ottica, diventerà un 'cane sinistro', perdendo qualsiasi legame con la base SILVESTRE. La ricerca della motivazione dietro alla facies attuale dei lessotipi condurrà dunque:
- alla meteorologia per i tipi 1) piovana - con 1a) bibiana e 1b) parianna -, 3) galaverna e 4) bërnà;
- alla favoleggiata resistenza al fuoco per i tipi 3) galaverna e 4) bërnà;
- al colore della pelle dell'animale per il tipo 2) labrena;
- alla presunta cecità della salamandra per il sottotipo 2a) elebörgnu;
- ai sentimenti ondivaghi suscitati dalla specie, di contemporaneo avvicinamento (can) e allontanamento (senestr);
- all'abitudine di consumare il latte degli armenti per il tipo 6) püpocrave.
L'inventario delle motivazioni manifesta, in questa seconda serie, qualche elemento di novità. A galaverna e bërnà, prima soltanto dei continuatori dell'etimo profondo SALAMANDRA, possono essere ora attribuite due motivazioni diverse, a seconda che si voglia porre l'accento sulla meteorologia o sul corredo di leggende che accompagnano la salamandra. Lo stesso discorso vale per labrena e a elebörgnu, che ricevono in questo frangente un'interpretazione motivazionale, ravvisabile nel colore della pelle e rispettivamente nella presunta cecità dell'animale. Scompare inoltre il riferimento all'habitat, essendo sostituito dalle reazioni emotive polarizzate indotte dalla salamandra: cansenestr torna dunque a essere un 'cane sinistro'.
2. Credenze
Tipicamente attribuito alla salamandra è il ruolo, già menzionato, di indicatore meteorologico.
Vi sono poi credenze che la salamandra condivide con altre specie. Una di queste consiste nel richiamo alla cecità, "tratto considerato tipico dell'orbettino" (Nesi 1999, 55), che si riflette anche nei riscontri paremiologici citati da Canobbio 2014, 154-159 (cfr. anche Rolland 1967 [1877-1915], III, 78), nei quali si ripete uno schema che prevede un'ipotesi dell'irrealtà nella prima parte ("se x vedesse / avesse entrambi gli occhi [e y sentisse, z camminasse, ecc.]") e una conseguenza negativa, di vario tenore, nella seconda ("distruggerebbe / distruggerebbero una foresta"; "disarcionerebbe / disarcionerebbero un cavaliere", ecc.). ALEPO III.I.44 raccoglie a Susa, per esempio, il proverbio [si la pyˈrjɑna u jit laˈvista i maseˈrit .. i tapeˈrit a baɕ in ɔm da kaˈvɑl] 'se la salamandra avesse la vista ammazzerebbe .. butterebbe per terra un uomo da cavallo'; Sella 1994, 163 riporta una paremia del tutto confrontabile elicitata a Postua (VC): se la barcala11 l es la vista d sua surèla vipra, la tirrìia giü l òm da sü la sela 'se la salamandra avesse la vista di sua sorella vipera, tirerebbe giù un uomo dalla sella'. La stessa azione è compiuta dall'orbettino, dalla serpe e dalla salamandra nel proverbio che ALEPO III.I.320 attesta a Bardonecchia: [si əl nœˈgœ i l viˈiə / si la ˈseʀp puˈiə camminare / si lə laˈbʀœnːə fosse velenosa i detʀui̯ˈʀia iɱ fuˈʀɛ] 'se l'orbettino vedesse / se la serpe potesse camminare / se la salamandra fosse velenosa, distruggerebbe una foresta'; gli va eco una paremia di Sauze d'Oulx, che coinvolge però soltanto orbettino e salamandra: Si l'ânigò viesse é lâ lebrenne puéřìa i fâřien désende ûn chevâglìa 'Se l'orbettino vedesse e la salamandra potesse disarcionerebbero un cavaliere' (http://www.chambradoc.it/valadosusitanos-1981/proverbiEModiDiDireDiSauzeDoulx.page), con l'aggiunta della glossa 'volere e non potere'. Dati confrontabili si trovano associati alla voce 1002 dell'ALP (Salamandre), che reca ben otto proverbi in cui, se la salamandra (talvolta da sola, altre volte accompagnata dalla lucertola o dalla vipera) vedesse o sentisse, un uomo potrebbe cadere da cavallo, oppure nulla le resisterebbe.
Un'altra credenza esplicitata da diversi informatori riguarda l'abitudine della salamandra di urinare negli occhi dell'uomo (Perrero, Pramollo, Villar Pellice), con l'effetto, secondo alcuni, di renderlo cieco (Giaglione, Mattie, Novalesa): non è più dunque la salamandra a essere cieca, ma è la salamandra a accecare chi venga in contatto con la sua urina. Ci troviamo di fronte, per un verso, alla rielaborazione di una caratteristica che la salamandra davvero possiede, ovvero quella di secernere dalle ghiandole cutanee una sostanza irritante, in particolare per la vista; per l'altro verso, a una nuova ampia area di sovrapposizione fra specie, trattandosi di un comportamento spesso menzionato in riferimento al rospo (da nord a sud, in ALEPO III.I.43: Rocca Canavese, Balme, Val della Torre, Chianocco, Susa, Bibiana, Oncino, Cartignano, Aisone, Chiusa Pesio), l'urina (o lo sputo o il soffio) del quale indurrebbe chi ne è colpito alla cecità (Campiglia Cervo, Mattie, Bardonecchia, Moncalieri, Sestriere, Pramollo, Sampeyre, Limone Piemonte) o addirittura alla morte (Giaglione)12.
Sempre legate al carattere nocivo della specie sono le informazioni raccolte da ALEPO III.I.44 a Oncino e Monterosso Grana, con riferimento alla credenza per cui siano necessarie per guarire dal morso della salamandra tante medicine quante sono le chiazze sulla sua pelle (cfr. anche Rolland 1967 [1877-1915], III, 78); la velenosità dell'anfibio è anche menzionata a Chiusa Pesio, dove si dice che la pelle della salamandra "fa bruciare le mani".
Non mancano riscontri contraddittori. Da un lato, a Moncalieri e a Traversella si afferma che la salamandra è velenosa e predilige l'acqua sporca e, rispettivamente, che dalla sua macerazione si ricavava un brodo per avvelenare i topi. Dall'altro lato, a Rocca Canavese, riportata la consueta credenza sulla velenosità della specie, la si mette in dubbio osservando come la salamandra si trovi in genere nelle fontane in cui l'acqua è migliore: [e ˈdizeŋ ke ənˈte k a j e la biˈbjana an tla funˈtɑna l ˈɛwa a l e ˈsɑna] 'dicono che dove c'è la salamandra nella fontana l'acqua è sana'. A Ribordone, addirittura, viene attribuita all'urodelo la capacità di purificare le fontane ([aˈpyrgɛt al funˈtane]).
3. Tassonomie
I materiali dell’ALEPO confermano il carattere ancipite della salamandra, "sospesa fra rettili e anfibi" (Nesi 1999, 38), ma in modo diverso da quanto forse ci saremmo attesi.
Com'è noto, in base alla sistematica, la specie è ascrivibile alla famiglia delle Salamandridae, ordine Urodela, classe Amphibia. Non è questa la sede per toccare il tema del rapporto fra tassonomia scientifica e tassonomia popolare, assai spinoso e al centro ormai da anni di numerosi studi monografici13; un fatto che senza dubbio colpisce, nei materiali dell'ALEPO, è la specificità delle denominazioni raccolte, nel senso che, quasi per intero, esse si riferiscono in modo non ambiguo soltanto alla salamandra. Come già ricordavamo, Nesi 1999, 36 afferma che "nella tassonomia popolare il posto" assegnato al nostro urodelo "è tra le lucertole", adducendo le numerose denominazioni, rilevabili in area romanza, che manifestano una connessione con le basi LACERTA e LACERTU. I dati dell'ALEPO offrono un quadro diverso, in cui i cedimenti denominativi verso le lucertole sono limitati ai tipi 7) e 8), e inducono piuttosto a scorgere tracce della collocazione incerta della salamandra – ora fra i rettili, ora fra gli anfibi – nell'insieme dei riscontri etnotestuali che la riguardano. È molto chiaro che la cecità attribuita alla specie getta un ponte in direzione dell'orbettino, l'una e l'altro essendo considerati, erroneamente, ciechi; e non sarà un caso che proprio la salamandra e l'orbettino compaiano spesso, insieme con la serpe e la vipera ("sua sorella vipera", secondo una delle fonti), nei proverbi menzionati in § 2. Abbiamo dunque un generico avvicinamento della salamandra ai rettili privi di arti, più che alla lucertola; la qual cosa forse un po' stupisce, visto che salamandra ha quattro zampe al pari della lucertola.
L'acqua riveste nondimeno notevole importanza nella caratterizzazione popolare della specie; e informatori differenti possono sostenere al riguardo tesi opposte: se, per un verso, l'urodelo predilige l'acqua sporca ed è tanto velenoso da ricavarne, mettendolo a macerare, un veleno contro i topi, per l'altro, la sua presenza nella vasca di una fontana è indizio di una buona qualità dell'acqua, contribuendo addirittura a purificarla. La credenza che l'urina della salamandra, schizzata negli occhi dell'uomo, lo renda cieco accomuna la specie al mondo dei rospi. Quest'ultima serie di osservazioni induce a spostare l'ago della bilancia verso gli anfibi, creando peraltro una convergenza tra tassonomia scientifica e tassonomia popolare. Va da ultimo ricordata l'occorrenza della risposta rana piovana registrata a Carema, che caratterizza la salamandra alla stregua di un tipo particolare di rana, anfibio par excellence. E non mancano del resto forme legate al significato di 'rana' in area francese oitanica, come sottolinea Nesi 1999, 58.
4. Quid novi?
Nella speranza, caro Thomas, che questo nostro piccolo dono sia riuscito a sfiorare i tuoi interessi di ricerca, concedici ora di tirare le fila dell'esercizio geolinguistico svolto nelle precedenti pagine. L'analisi della voce dell'ALEPO dedicata alla salamandra non ha prodotto, come sospettavamo, novità di rilievo, perlomeno dal punto di vista delle denominazioni elicitate: non crediamo di ingannarci sostenendo che soltanto due di queste, bërnà e cansenestr, erano ignote all'ALiR. Va altresì ricordato che la forma parossitona bërna e cansenestr compaiono nei materiali inediti dell'ALI14, i quali, per ragioni a noi difficilmente ricostruibili, non sono confluiti nella carta di sintesi dell'ALiR15. A essi si potrebbero aggiungere la forma elebörgnu e il sintagma rana piovana. La prima condivide con il prov. blando l'allusione alla presunta cecità della salamandra, ma la attualizza con materiale lessicale diverso; il secondo abbina alla forma aggettivale piovana il sostantivo rana, originando una combinazione peculiare di due termini comuni anche altrove. Ci sembra però che l'addendum più significativo portato dai materiali dell'ALEPO si collochi al di là delle singole risposte e sia da ricercarsi negli etnotesti; ed è proprio dalle credenze, dalle leggende, dai proverbi che gli informatori dell'atlante hanno elargito che possiamo inferire alcune considerazioni, anch'esse non nuove, ma formulabili da una nuova angolatura, sulla tassonomia popolare inerente alla salamandra. La quale verrà a collocarsi fra le classi Reptilia e Amphibia in virtù non delle sue denominazioni, ma del complesso di notizie che gli intervistati hanno saputo offrire su questo straordinario – ex parte subiecti – rettile-anfibio.
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- Rolland 1967 [1877-1915] = Rolland, Eugène (1967 [1877-1915]): Flore populaire de la France, Paris, Maisonneuve et Larose.
- Ruaro 2003 = Ruaro, Enrica (2003): Il pipistrello come animale magico, in: Quaderni di Semantica, vol. XXIV, 1, 21-46.
- Sella 1994 = Sella, Alfonso (1994): Bestiario popolare biellese. Nomi dialettali, tradizioni e usi locali, Alessandria, Edizioni dell’Orso.
- Vigolo et al. 2003 = Vigolo, M. Teresa / Maddalon, Marta / Zamboni, Alberto (Hrsgg.) (2003): Dialettologia e etnosemantica, Padova, Consiglio Nazionale delle Ricerche.
- VPL = Petracco Sicardi, Giulia / et alii (1985-1992): Vocabolario delle parlate liguri, Genova, Consulta Ligure.